Le miniere di Montedoro sono il simbolo di un sogno, quello dei contadini di alcune zone della Sicilia che pensarono, ormai due secoli or sono, di potersi trasformare magicamente in ricchi imprenditori.
Ci fu un’epoca, infatti, in cui l’isola visse la sua corsa all’oro giallo e non è un eufemismo. Sin dagli inizi dell’800 una febbre simile a quella che a metà del secolo colpì i sognatori che si recavano nella lontana California a caccia di pepite, si diffuse nella cittadina di Montedoro. L’oro giallo a cui si ambiva era lo zolfo, minerale prezioso quanto il mitico metallo con il quale condivide solo il colore.
Lo zolfo all’epoca aveva un valore inestimabile soprattutto perché se ne era scoperto l’effetto disinfestante nei confronti di una piaga che affliggeva l’intero continente europeo: l’oidio delle viti.
Per tutto l’ottocento e fino ai primi anni del novecento, la Sicilia fu il primo produttore al mondo di zolfo. I proprietari di appezzamenti di terreni, dai più piccoli agli immensi latifondi, godettero di un periodo di straordinario benessere.
Gli abitanti di Montedoro scoprirono per caso che nel sottosuolo del loro paesello si nascondeva una ricchezza dalle dimensioni bibliche: lo zolfo che, a dire il vero, non celava la sua presenza, ma anzi affiorava dalla terra naturalmente alimentando le ambizioni e i sogni dei contadini del piccolo centro rurale.
Si cominciò a scavare ovunque e la campagna di Montedoro divenne un immenso intrico di gallerie sotterranee.
I Carusi e le miniere di Montedoro
In piena rivoluzione industriale, Montedoro, paesino di poche anime, divenne il fulcro dell’economia del continente. Poteva essere una grandiosa storia di sviluppo per tutto il territorio e per tutti i poveri contadini abituati a rubare alla terra, con fatica e sudore, i mezzi di sostentamento per le loro famiglie.
In realtà, lo zolfo non portò ricchezza per tutti. A beneficiarne furono, soprattutto, i grandi proprietari terrieri, mentre i poveri contadini si trasformavano in poveri minatori.
I bambini, i Carusi, il cui fisico minuto si adattava perfettamente ai cunicoli delle miniere, divennero parte integrante del processo di estrazione. Veri e propri attrezzi che venivano letteralmente affittati alle famiglie.
Il picconiere a cui il proprietario della miniera appaltava l’estrazione a cottimo, stipulava con le famiglie povere contratti che gli attribuivano il diritto di disporre del bambino in cambio del vitto giornaliero di una piccola somma di denaro pagata al momento dell’ingaggio.
Il denaro versato alla famiglia non era da intendersi come un compenso, bensì come un anticipo del risarcimento in caso di decesso del bambino. La clausola che prevedeva il pagamento, infatti, era nota come “soccorso morto”.
La famiglia non poteva riavere il bambino se non restituendo il denaro con gli interessi.
Rischi di crolli e i danni alle colture
Le infinite gallerie scavate nel terreno minavano la stabilità delle abitazioni. In poco meno di dieci anni, il sottosuolo di Montedoro fu invaso da tunnel e minuscole miniere mentre, all’aperto, i forni di fusione (calcheroni), costruiti in prossimità delle abitazioni, avvelenavano l’aria con il fumo puzzolente proveniente dal trattamento di purificazione dello zolfo.
Solo in una fase successiva si stabilì che i forni fossero costruiti a una certa distanza dalle case. Fino ad allora, i fumi dello zolfo, furano una costante velenosa della vita degli abitanti di Montedoro e di tutti i centri abitati siciliani in cui si estraeva lo zolfo.
Chiunque ne avesse la possibilità scavava gallerie e pozzi, senza cura per la stabilità delle abitazioni civili. Molte di queste, per la troppa vicinanza agli scavi, rischiavano di crollare. Diverse denunce e numerose proteste si levarono dagli abitanti per impedire che le proprie case crollassero per colpa dell’ingordigia di proprietari terrieri, picconatori e minatori improvvisati.
L’agricoltura che, fino all’inizio dell’era mineraria di Montedoro, era stata la base dell’economia del posto, cominciò a subire i contraccolpi della estrazione e di tutte le operazioni connesse alla lavorazione dello zolfo.
Infatti, la ganga, come venivano chiamati i materiali estratti allo stato grezzo dalle innumerevoli miniere scavate ovunque, prima di essere trattati nei forni per separarne lo zolfo, venivano ammassati senza alcuna regola e senza nessuna accortezza sui terreni in cui rilasciavano liberamente l’anidride solforosa.
Le fonti documentali narrano il disappunto degli abitanti di Montedoro che più volte si rivolsero al prefetto e ad altre autorità locali per chiederne l’intervento contro le pratiche di estrazione considerate dannose per l’agricoltura e la salute pubblica.
Le miniere di Montedoro: il parco didattico e il Museo della Zolfara
Montedoro non ha dimenticato il suo passato minerario, fatto di speranza, sogni, fatica e dolore. Ne perpetua, anzi, la memoria con un interessante percorso storico culturale che ha il suo compimento nel Parco didattico al cui interno si trovano un osservatorio astronomico (con planetario), il Museo della Zolfara e le suggestive e commoventi case museo che mantengono inalterato l’aspetto di quei tempi.
Nelle vicinanze della miniera più importante e antica di Montedoro, la Nadurella, si trova il Museo della Zolfara in cui è possibile ripercorrere la storia dell’impresa epocale dello zolfo seguendo due percorsi, uno interno e uno esterno.
Il percorso esterno è dedicato ai forni in cui si trattava il minerale e ai vagoni che si utilizzavano per scendere nelle gallerie. Il percorso interno, invece, ospita una mostra permanente che raccoglie le testimonianze fotografiche e gli attrezzi usati.
Le case museo, nel cuore di Montedoro, custodiscono la memoria storica della vita dei suoi abitanti. Visitarle vuol dire compiere un viaggio nel tempo per toccare con mano le abitudini e le condizioni in cui vivevano i contadini di Montedoro che due secoli fa lo zolfo trasformò in minatori.